Olga e l’intimità

Pablo Picasso, 1881-1973

Olga sul sofà, Museo Nazionale Picasso, Parigi

Ah che sarà che sarà

che vanno sospirando nelle alcove,

che vanno sussurrando in versi e strofe,

che vanno combinando in fondo al buio,

che gira nelle teste e nelle parole,

che accende candele nelle processioni,

che va parlando forte nei portoni e grida nei mercati,

che con certezza sta nella natura nella bellezza …?

Quel che non ha ragione né mai ce l’avrà,

quel che non ha rimedio né mai ce l’avrà,

quel che non ha misura.

(Oh che sarà, che sarà, C. Buarque de Hollanda, I.Fossati)

Che cos’è che con certezza sta nella natura, nella bellezza? Nessuno lo sa veramente, perché non ha misura, né mai ce l’avrà.

Non credo però che nella vita valga la pena di fare altro che non sia cercarlo senza sosta, nelle grida e nei sussurri, nei tramonti e nelle albe, nei sorrisi e nelle lacrime.

È quello che fanno gli artisti.

È quello che faceva Picasso, a modo suo, quel modo che l’ha reso un’icona del ‘900 perché è tanti modi insieme e uno solo, lungo il filo dorato della sua geniale ispirazione.

L’inno alla bellezza di Picasso è certamente visibile in moltissime singole opere, di forza e intensità straordinarie, ma soprattutto, secondo me, nello stupefacente polimorfismo dei linguaggi figurativi che sapeva via via adottare: tutti diversi, anche radicalmente l’uno dall’altro, tutti saldamente governati verso un obiettivo chiaro e comune. Il senso delle sue scelte sempre differenti è la vera traccia che permette a noi di seguirne la direzione.

Il grande talento nel mutare registro espressivo a seconda del contenuto da veicolare, o della particolarità della sua ispirazione contingente, permetteva a Picasso di sorprendere e colpire oltre ogni autonoma immaginazione, di scardinare ogni pregiudizio, di azzerare ogni aspettativa preconcetta e conservatrice. Il salto di tono, il cambio di linguaggio era esso stesso un linguaggio, che aveva infinite possibilità comunicative.

Tra il 1917 e il 1918, Picasso compie il suo primo viaggio in Italia. Si ferma per qualche settimana a Roma, prendendo alloggio all’Hotel de Russie e uno studio in Via Margutta; poi visiterà Napoli e Pompei.

A Roma, mentre lavora alle scene del balletto Parade, su un libretto del suo giovane amico poeta Jean Cocteau, musicato da Erik Satie, conosce la ballerina russa Olga Kochlova e se ne innamora. I due si sposeranno nel 1918 e trascorreranno insieme alcuni anni felici. Il soggiorno romano e quello partenopeo regalano a Picasso l’incontro con l’amore e la bellezza, non solo di Olga, ma anche di Raffaello, Michelangelo, Caravaggio e dell’antichità classica. E l’amore cambia il suo linguaggio pittorico.

L’autore delle Demoiselles d’Avignon (1907), della Donna con ventaglio (1909), del ritratto di Eva (Ma jolie, 1912), il fondatore del movimento Cubista, il pittore geniale della produzione Blu e Rosa, nel 1917 dipinge la sua amata nella celeberrima tela Ritratto di Olga in poltrona (Fig. 1).

Un vero colpo di fulmine in senso letterale, un guizzo di assoluta, completa disomogeneità con tutte le premesse e con l’immediato seguito della sua carriera. Credo che sia un quadro straordinario, il cui vero soggetto, appena celato, è senza dubbio l’intimità. Se ne avverte il profumo sottile e delicato in ogni tratto di pennello, in ogni scelta cromatica, in ogni espressione riprodotta.

Il gesto di raffigurarla su tela così esplicitamente, quasi senza filtro, nella forza assoluta e dirompente della sua naturalezza, per un pittore come Picasso- e per chiunque- mi sembra di un coraggio sovrumano, perché nessuno, neanche Picasso, può farlo se non parlando di sé. Apparentemente è la rappresentazione di una donna bella ed elegante, languidamente in posa su un sofà a fiori colorati. In realtà è il ritratto di un uomo completamente travolto, rapito da un sentimento che sente pervadere la sua anima senza alcuna possibilità di controllo, e giungere in un luogo segreto, forse fino ad allora precluso a ogni raggio di sole.

Si accende all’improvviso un riflettore su un cuore nudo, fino a un attimo prima difeso e coperto, ma la luce che diffonde non è impietosa e fredda. È tenera, accogliente, comprensiva.

Picasso dipinge senza esitazioni proprio questo sentimento, nel dettaglio, per come gli si mostra spontaneamente: fresco, delicato, fragile come un fiore di campo. Per farlo, come sempre cerca dentro di sé una maniera autentica e vera, un linguaggio appropriato, e lo trova; lascia riposare per un momento la sua visionaria sperimentazione e si abbandona all’ascolto di una voce fioca e lontanissima, una fonte di ispirazione antica che già tutto aveva detto sull’amore.

Olga è in un chiarore morbido, che evita ogni riflessione sull’ombra. È sospesa in un vuoto astratto, come una natura morta di Caravaggio. Perché Olga è un assoluto, Olga si trova tutta nello spazio interiore di un’anima che la desidera e la sogna. La sua immagine non può essere scomposta in piani intersecati, in elementari forme geometriche: è immune a qualsiasi ricerca cubista, e il motivo mi sembra chiaro.

Olga non è un viaggio ma un punto di arrivo, non è un teorema ma una soluzione, non è una domanda ma una risposta. Olga è la scoperta di una verità.

Per questo è adagiata su una nuvola di seta e fiori, che la incorniciano come la Ninfa Galatea nel suo trionfo di grottesche, in quella Villa Farnesina che Raffaello Sanzio regalò al mondo, prima ancora che al committente Agostino Chigi, per consentire a tutti di credere nell’Amore.

Olga è il senso stesso della vita, perché se può esistere la sua dimensione e può apparire all’improvviso, allora davvero vale la pena affrontare tutto il resto. Olga è il profumo originale e assoluto dell’intimità condivisa: l’unico vero antidoto alla solitudine su questa Terra.

Figura 1. Pablo Picasso, Olga in poltrona. Museo Picasso, Parigi