
Mi piace far rotolare lentamente la prosa di quel che leggo lungo le circonvoluzioni della corteccia cerebrale, per consentire all’anima racchiusa in quel tessuto di sgocciolare poco a poco, come dentro un setaccio, e irrigarmi il cervello spugnoso con i suoi profumi. Mentre rotola e viene masticata nella mente, una prosa divorata dagli occhi non può evitare di sgocciolare umori intimi, sapori nascosti tra le righe; e se sgocciola, immancabilmente libera aerosol di sentori diversi, collegando in una carezza vaporosa aree del cervello che altrimenti non si parlerebbero mai. Così nascono l’idea, il giudizio, il gusto, spesso senza neanche attendere che frammenti parzialmente digeriti di quel pasto penetrino nel profondo dei nuclei cognitivi per essere elevati a conoscenza compiuta e consapevole. Ogni prosa ha una sua struttura, naturalmente, ha una sua personalità: io le classifico tutte, dalla più modesta alla più sublime, a seconda del profumo e delle carezze corticali che sono in grado di regalarmi.
Oggi vi parlo di questo nuovo Winslow, che mi pare un poco diverso dagli altri; più degli altri mi pare sappia far rotolare le parole nella mia testa: le avverto distintamente muoversi sotto la teca cranica, sfiorare le meningi come un soffio tiepido e sgocciolare più in basso una resina cristallina, ricca di essenze. Questo Winslow profuma distintamente di Roth e Franzen, ne richiama l’aroma tipico, fatto di carta scritta e caffè tostato, pur senza il retrogusto rancido di vestiti poco puliti e quotidiani spiegazzati che non manca mai loro, dopo qualche centinaio di pagine. Questo Winslow, se lo lasci fare, sale parecchio verso l’alto, tra gli odori chiari di neve di certe giornate di Steinbeck, e più tardi si posa per qualche minuto di ristoro nel calore di legni stagionati e whisky di certe nottate di Auster.
A volte ti colpisce duro come un McCarty d’annata, altre ti strappa un mezzo sorriso, come un John Fante riverniciato di fresco. Sembra quasi incredibile, ma questo fantasmagorico bouquet si addensa e si rimescola con totale disinvoltura in una struttura solidissima di thriller che neanche un Connelly in gran spolvero potrebbe immaginare. Alla faccia del genere minore. Per quanto mi riguarda, non avrei potuto passare meglio una serata fredda d’inverno. Mi sono ubriacato fino all’alba di questa meraviglia di quart’ordine e quando gli occhi hanno detto basta mi sono lasciato andare felice a un sonno ristoratore, sognando di rinascere scrittore, ma un minore, come questo qui.
L’inverno di Frankie Machine, Don Winslow, Einaudi