
“So che non c’è niente da dire. Non so dirle…”. “No” dissi. “Non c’è niente da dire”.
Non c’è niente da dire perché la guerra è un addio senza congedo, come per Ajmo, come per Passini, per i cavalli stramazzati, per le campagne e i casolari abbandonati. Non serve a nulla ritirarsi con le macchine impantanate nel fango freddo, non serve dileguarsi oltre frontiera nella notte nera di un lago alpino. Non serve nemmeno nascondersi nella nebbia di Milano, stretti l’uno all’altra, in cerca di una stanza di velluti rossi dove fare l’amore e bere Capri ghiacciato, in attesa di partire per il fronte.
Non serve perché è tutto sbagliato, fin dall’inizio. E’ solo una grande follia. In guerra non possono esserci vincitori e la grande sconfitta è soprattutto e sempre la felicità. Quella semplice emozione che si prova accarezzando i lunghi capelli biondi di un’infermiera in un ospedale da campo, o mangiando uova al prosciutto in una locanda svizzera, tenendosi per mano.
Il dubbio che è che non si possa fuggire perché non sapresti dove andare. Il dubbio è che la guerra sia solo la faccia più sincera, ‘sporca, prepotente e criminale’ della vita. Alla fine “Il mondo spezza tutti quanti, ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni e i molto gentili e i molto coraggiosi. Se non siete tra questi potete essere sicuri che ucciderà anche voi, ma non avrà una particolare premura”.
Ma allora Farewell non è un vero saluto, non può esserlo, perché non ce ne stiamo andando. E’ soltanto un urlo disperato e definitivo, impotente, sconfitto e rassegnato. Eppure quell’ ‘Addio’ rimane un congedo. Dalle ‘Armi’, non dalla vita. E’ un ordine, una scelta una speranza, che contengono una promessa solenne.
Perché è certo che alla fine questo mondo ci spezzerà, ma intanto possiamo vivere senza piegarci. Possiamo farlo. Possiamo rifiutarci di partecipare alla mattanza, smascherare gli stupidi, scegliere di stare dalla parte giusta. Disertare non è fuggire; fuggire non serve, abbiamo detto, perché la dimensione tragica della tua natura umana ti aspetta, anche in Svizzera, senza divisa. Ti può raggiungere ovunque, perché respira con te. No, disertare significa invece combattere, non rassegnarsi, non rinunciare alla lotta.
Alla lotta contro l’oscuro, contro il dolore e la fine, contro l’ingiusto. Possiamo e dobbiamo cercare la nostra Catherine Barkley, amarla senza timore di perderla un giorno, e magari difenderla, proteggerla, come una postazione avanzata sul Carso per cui valga davvero la pena lottare e morire.
“C’era un soldato in piedi con la ragazza nell’ombra di un contrafforte di pietra davanti a noi e gli passavamo davanti. Erano stretti contro la pietra e lui l’aveva avvolta nella mantellina.
‘Sono come noi’ dissi. ‘Nessuno è come noi’ disse Catherine. Non alludeva alla felicità”.
Nessuno è come noi, nessuno ha come noi potere sulle nostre stesse vite. E nessuno può toglierci la speranza, se noi non lo permettiamo. Non lasceremo allora che il fischio degli obici e la grandine di schegge rompano la poesia semplice di una merenda tra amici. E non permetteremo a questa maledetta vita di strapparci Catherine e il suo bambino, lasciandoci soli e sconfitti a raccogliere macerie.
Addio alle armi, Ernest Hemingway, Oscar Mondadori