
“In quella parte del libro de la mia memoria dinnanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova“.
Esiste qualcosa di più meraviglioso, fertile, promettente (e inquietante) dell’ambiguità?
E la Memoria, fiume che disgiunge ed unisce allo stesso tempo vasti spazi e luoghi della vita, che collega distanze e separa esperienze, è sublime nella sua ambiguità: da un lato, classicamente, registro di un passato reale, che costituisce la base del presente, la causa di questi attimi di respiro che ne sono gli effetti, la struttura fine e la trama dei pensieri di oggi, intrecciati e indistinti dai ricordi di ieri; dall’altro, ed anche per questo, forza inarrestabile di immaginazione, fantasia, creatività, che rimescola le tessere dorate del mosaico Realtà, assemblandole in composizioni inedite, in visioni future, progetti di esistenze intere, accostando le tinte tenui dei frammenti di veri ricordi, a quelle accese dei desideri inconsci, o delle intenzioni programmatiche.
La Memoria non solo registra. Produce. Si slancia. La Memoria è creativa. Si tuffa e spinge. Raccoglie e ricompone i fatti appena osservati, mentre solleva lo sguardo al futuro. La Memoria come frattura della crosta terrestre della vita, che richiama in superficie un magma incandescente di materiale sepolto -rocce, minerali, atomi di materia reale, elementi diversi ma fusi in un tutto indistinto e tenuti nel buio profondo. Rocce di cui è fatta la terra stessa e che ne animano il profilo, una volta emerse e raffreddate, in cordigliere e vallate, fenditure e catene ove il vento della fantasia e la pioggia delle esperienze modellano una irripetibile e inestimabile fisionomia.
Ma lo scorrere del fiume o l’emergere del magma incandescente sono metafore monodirezionali.
La Memoria, invece, s’irradia nello spazio come la luce che promana da una stella, e come la luce, se attraversa un corpo, un frammento di materia, si ferma, produce ombre, o lo attraversa, scomponendosi nei colori del suo spettro. Il presente è il suo prisma e i fatti della vita sono i corpi che attraversa.
A questa Musa ispiratrice rende un tributo, un omaggio, l’immenso talento di un uomo-poeta-narratore, gigante di un tempo così remoto da essere per noi quasi incomprensibile, ma talmente alto, oltre le montagne dei secoli, da riuscire a proiettare ancora oggi il suo sguardo sulle vicende dei moderni.
Dante ha nove anni quando vive l’incipit di una Vita Nuova e il suo piccolo libro della memoria ha pochissime pagine già scritte. Se la Memoria non godesse della meraviglia della sua natura ambigua e fosse semplice registro di accadimenti, appunto vergato di fatti, riproduzione fedele di esperienze sensibili, poco avrebbe serbato di quel fugace incontro con una bimba della sua stessa età, vestita nobilmente di rosso, come si conviene alle visioni assolute ed indimenticabili, appunto.
Ne ha nove più nove quando la vede una seconda volta, per un breve molto virtuoso saluto, solo di sguardi.
Due attimi, separati da anni. Un contenuto infinitesimo di fronte alla vastità di una vita, che può tranquillamente diluire questi frammenti fino a farli sparire nel nulla.
Il Dante adulto, però, che racconta in prima persona sfogliando le pagine del suo ‘libello’ dei ricordi, ha una tesi da dimostrare e s’abbandona con voluttà al meraviglioso fluire dell’immaginazione, alla forza creatrice del suo progetto di uomo, che riveste e rilancia, che costruisce palazzi sfolgoranti ed eterei di futuro, usando gli umili mattoni di creta del passato.
Il suo palazzo è ornato dei drappi di seta della sua cultura e della sua visione, ma si sostiene dei muri portanti dei suoi ricordi di bambino.
D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima
Dante vuole servire questo Signore, vuole esserne vassallo fedele, vuole esserne dominato.
Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur mihi
Questa è la sua visione e dunque la forma del prisma da cui passa la luce.
La sua memoria, quella di un cervello umano che evoca episodi di vita vissuta, frasi udite, sguardi catturati, colori di vesti, suoni di parole formali e familiari, compie un esercizio materiale, nel senso letterale, perché parte dalla materia e la plasma, se materia è ciò che cade dentro l’esperienza sensibile, ciò che si vede e si tocca, che si ode e si odora, se materia sono- anche- i circuiti neuronali in cui quei frammenti si allocano e vengono messi in relazione. Ma la materia grezza viene morbidamente vestita e cesellata dal potere illimitato di visione della mente, che vuole prospettiva, progetto, ideale. Una mente che ricerca e sa di avere in sé, nel profondo, la stessa natura del divino.
Ecco perché Amore può essere il Signore di una vita e non è cosa sconveniente, ecco perché una donna può essere Beatrice, cioè salvezza dell’anima, senza che questo appaia blasfemo: Amore, Uomo, Donna sono espressioni delle medesima forza creatrice universale, rappresentazioni ed immagini di quella energia. E allora il presente è il luogo di incontro di umano e divino, perché scompone la Memoria, umana raccolta di frammenti di realtà, nei mille colori eterei e visionari del progetto sull’esistenza. La memoria spreme il succo dolce dei fatti e li trasforma in intenzione. In quel momento preciso, nell’attimo stesso, è forza mistica di passaggio, è trasformazione, metamorfosi. E’ cambiamento, rivoluzione. Ambigua, come tutte le rivoluzioni. Decisiva, come tutti i cambiamenti.
Ci dice, cioè, ci racconta, cosa abbia significato un istante, quell’istante, per un’intera esistenza; disseziona l’attimo in un’infinita dimensione dove si specchia la sua anima, e vi trova tracce di eternità, direzione, coerenza tra passato e futuro.
Quell’istante è l’intera vita, ne contiene l’intero potenziale illimitato.
E il suo talento, che vive anche di questa mistica consapevolezza, recupera il ricordo, quel ricordo, il dagherrotipo sbiadito di quel momento in mezzo alla miriade di altri, polverosi, vicini, sepolti nella sabbia, lo ripulisce, lo lucida, fino a farlo brillare come la gemma più preziosa dell’universo e a diffonderne la luce su tutte le sue azioni successive, sulla sua vita di poeta e di uomo. Il ricordo diventa momento rivelatore di una missione, indossa l’abito sfolgorante di primo passo di una grande ascesa verso la vetta. Questo può accadere però solo perché la memoria non è solo il freddo notaio che ferma il tempo, ma abile mano che inserisce pietruzze tra le valve serrate dell’ostrica. Intorno al frammento insignificante, il tempo stratifica la madreperla nella forma perfetta che un giorno le darà immenso valore.
Una gemma preziosa, che ha un nucleo infinitesimo e comune. E la potenza del genio trasferisce il piano teorico di questa intuizione, su quello pratico e concreto della scelta di un linguaggio, una forma espressiva, un significante che è anche significato, nella sua natura ibrida, intermedia, flessibile, di prosa che contiene poesia che contiene prosa, di discorso ritmico e versi senza metro, di musica parlata e parola cantata, in un eccezionale esperimento destinato a diventare modello imperituro, in una convergenza prodigiosa di contenuti e forme, che stordisce e inebria nella sua incoerente coerenza di ubriacatura da rigore assoluto. La Poesia è la madreperla che riveste, è il tessuto che adorna e ricopre, è la forza che trasforma e impreziosisce, e crea nuova poesia. La poesia può arrivare fin nei recessi dell’ineffabile, una parola che forse per primo Dante usa nella nostra lingua, proprio qui; ed è necessaria, perché non tutto, del processo mirabile del cambiamento interiore, si può spiegare con parole ordinarie. Nella straordinaria avventura di definizione dell’anima umana, culminata nell’immortale edificio della Commedia, il primo passo si compie qui, con l’invenzione dell’ineffabile, la parola che smentisce se stessa.
…e per la sua ineffabile cortesia (…) mi salutoe molto virtuosamente
L’indicibile è terreno scivoloso financo per la memoria, che vacilla, incespica, chiede aiuto, grida al mondo che quel lancio di giavellotto verso il cielo necessita di altre forze. La perla non si forma se l’ostrica non contribuisce con la sua sofferenza, che respinge dalla sua polpa viva il corpo estraneo dell’intuizione, il segno del divino.
Quel ch’ella par quando un poco sorride on si po dicer né tenere a mente, sì è novo il miracolo e gentile
Se la memoria è il motore della mente, il suo metro di misura del presente, tuttavia, essa non comprende (perché non vede) quella vera sublime scintilla di universo, imago dei, contenuta nella bellezza mortale
Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo
Qui la parola sembra abdicare, battere in ritirata, lasciare campo e vittoria all’ineffabile, il trionfo del significato della parola sulla sua natura.
L’ineffabile è compagno del silenzio, il silenzio di chi si illumina, ma anche di chi suscita, con il potere formidabile della sua bellezza, il primo movimento verso la luce.
E’ un silenzio della parola, ma non del cuore, che sente, capisce con il suo linguaggio, evoca, infiamma, pervade.
Mostrasi sì piacente a chi la mira che dà per li occhi una dolcezza al core che intender non la può chi no la prova
Non lo capisci se non lo provi, se non lo vedi, se non lo sai (come Edipo, che finisce per accecarsi da solo, per la rabbia di non aver visto ciò che non poteva vedere, perché non sapeva).
Che succede, allora, alla poesia, se dilaga il silenzio? La poesia esplode il suo valore più estremo. Non si arrende, non muore, perché la poesia è immortale, è il battito stesso dell’Universo nelle piccole vicende umane, è il soffio del respiro, è il calore che si avverte in ogni forma di vita.
Perché se, nel profondo silenzio dell’anima, ti soffermi a guardarla muoversi, scorrere come un tempo senza fine e senza inizio, intrecciarsi con i fenomeni e cambiare con loro, soffiare come un vento sulle fronde di un bosco sconfinato, incresparsi in superficie, tuffarsi nell’abisso, rischiararsi di luce al mattino e rabbuiarsi con le ombre della sera, allora davvero non potrai negare l’evidenza di una continuità assoluta di ciò che viene illuminato con ciò che illumina, di ciò che sembra fuori con ciò che sembra dentro. La sorgente è anche la foce, l’estuario di un fiume a corso circolare, che si mescola nell’oceano per tornare pioggia sui monti e faglia nelle grotte della montagna. Qui nasce la Poesia dell’ineffabile, e il Silenzio in versi, che poi sono la stessa cosa.
Qui si scopre che uomo e dio sono fatti della stessa materia.
Sapere questo, dirselo, riconoscerlo, è già l’Incipit di una Vita Nova, nuova perché rinnovata dall’Amore, Amore ineffabile ma comprensibile per tutti, perché ognuno partecipa della stessa natura delle stelle. Amore irrefrenabile e incontenibile, che ti trascina fuori dalla selva oscura e traccia la strada in salita verso il dilettoso monte della rinascita dello spirito, che oggi chiamerei felicità, molto laicamente e molto semplicemente felicità.
Quella cosa che non si può descrivere, ma semplicemente è, e tutti la comprendono, e la possono toccare, perché è la materia solida dei loro respiri, oltre che dei sogni.
Se vi sentite umani e mortali, ma non per questo sconfitti, se vi sentite fragili ma non per questo mediocri, se intuite l’eco primordiale dell’esplosione di una supernova nel flebile battito del vostro cuore, se vi sentite di poter amare ed essere amati per il semplice motivo che Amore è il linguaggio universale di tutti i fenomeni, di poter vivere riconoscendo il limite per il solo gusto di poterlo superare, perché quel limite è solo la crosta su cui si sofferma lo sguardo dei pigri, prendete questo libretto e leggetelo d’un fiato. Vi piacerà.
Riconoscerete facilmente quello che avete sempre saputo: il cielo stellato racconta di voi.
Dante Alighieri, Vita Nuova, Economica Feltrinelli