Suite Francese

Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l’allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo smile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall’estrema linea dell’orizzonte –senza fretta, si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano: “E’ l’allarme?”.

Chi sa esordire così può scrivere qualsiasi cosa, facendola apparire bella e vera. Quando in poche righe trovi il frastuono dei bombardieri e i sospiri delle donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, l’angoscia delle madri con un figlio al fronte e i sogni di spiagge ciottolose di ignari addormentati, la guerra è già descritta, l’opera si compie già nel suo inizio e il viaggio può cominciare serenamente perché la meta è già segnata. Si chiama Letteratura, cioè suono di lettere e volo di parole, oltre il pensiero comune. Il romanzo, però, come tutti sanno, è rimasto incompiuto, troncato dalla prematura scomparsa della sua meravigliosa autrice.

Può un’opera d’arte incompiuta essere un capolavoro? Può esalare comunque la sua autonoma e originale bellezza? Io mi rispondo sì. Ogni opera prende vita nelle mani del suo creatore, che segue una lama di luce tagliare il buio del mistero dentro la sua anima. Nel momento in cui crea, manipola frammenti di realtà, parole, marmo, tele e colori che in quel preciso magico istante diventano mezzi, ponti gettati tra il mondo interiore del genio illuminato e i mille mondi interiori degli altri esseri umani. Da quel momento in poi l’opera d’arte non è più patrimonio esclusivo del suo autore, ma diventa di ognuno, di chiunque riesca a trovare un’emozione, chiunque senta quel ponte condurre a sé. E il progetto dell’autore non conta più o forse conta solo per lui. Per noi, sponde impazienti sull’altra riva del fiume, conta solo che quell’emozione scorra, ovunque voglia andare, come un fluido caldo e vitale che attraversa le nostre anime.

In un geniale articolo di Umberto Eco ho letto una volta la commovente formulazione di una vera e propria ‘Estetica dell’imperfezione’, da cui non si può non trarre insegnamento e riflessione intima. La Venere di Milo è ammirata da tutti come opera di bellezza seducente, pur mancando delle braccia. È il fascino suggestivo e irresistibile di ciò che era e non è più, di un mondo che si può solo immaginare. Uno schizzo a volte è più emozionante di un quadro, perché dove meno esistono forme finite più si può esprimere il sogno, la libertà. Ecco dunque da dove discende il fascino della rovina, di ciò che è stato di splendido e oggi non c’è più ma si intravvede in ciò che rimane. Nell’Arte, l’imperfezione è non solo spesso strutturale e indispensabile a preparare il bello, cioè il cuscino di raso su cui posa la gemma preziosa, ma anche in realtà l’essenza viva dell’opera stessa, ciò che la rende quello che è ed è in grado di veicolare piacere ed emozione come e più del resto del tessuto. Inutile cercare i fiori nella grande sterpaglia, conviene vedere la brughiera nel suo insieme.

Di più, spesso, spessissimo, senza la frammentazione stilistica delle opere imperfette, senza lo sconcertante vuoto riempito di grigio ordinario tra un picco di genio folle e l’altro, l’occhio dell’anima dell’uomo comune non sarebbe in grado di cogliere il sublime. L’Amleto, Casablanca, il Conte di Montecristo, la Pietà Rondanini, l’Orlando Furioso, la Sagrada Famiglia, la Città di Roma, la vita di ognuno di noi: tutte opere d’arte imperfette, disuguali, instabili, incoerenti, ma proprio per questo bellissime.

Suite francese, Irène Némirovsky, Adelphi.