Tiziano Vecellio, 1485-1576
Pala Pesaro, Basilica di Santa Maria de’ Frari, Venezia
Spesso la felicità si incontra per caso, nascosta dentro un comune cespuglio del sentiero che abbiamo intrapreso avendo in mente tutt’altro esito, tutt’altra meta.
La felicità, a volte, è come un gioiello che qualcuno ci ha cucito di nascosto nella veste: è vicinissima, ma non la vediamo, perché pensiamo ad altro. La nostra immaginazione e la nostra capacità di previsione sono limitate. La vita al contrario ha un infinito potere di sorprenderci. Si parte con un’idea, una convinzione, uno scopo, e strada facendo si cambia punto di vista, ci si imbatte in una nostra qualità che non conoscevamo, si incontra o si scopre una persona che non avevamo calcolato, previsto, immaginato. E così puntiamo alle Indie e scopriamo le Americhe. Cerchiamo le muffe e scopriamo gli antibiotici. Corriamo verso qualcosa o qualcuno e andiamo a sbattere su qualcos’altro o qualcun altro che ci cambiano imprevedibilmente l’esistenza.
Tutti vanno a Santa Maria Gloriosa de’ Frari, a Venezia, per vedere la pala di Tiziano sull’altare maggiore: la celeberrima Assunta, uno dei dipinti più famosi al mondo.
La basilica francescana è molto bella e per tutti è famosa per la sua pala d’altare che in effetti è un quadro strepitoso, o al limite, per il polittico di Bellini, anch’esso un pezzo unico. Anch’io, la prima volta, sono andato per lo stesso motivo.
Ma mentre percorrevo con una certa trepidazione la navata sinistra, impaziente di trovarmi finalmente di fronte a quel capolavoro, mi è capitato di buttare un occhio distratto verso una cappelletta laterale. Ecco come ho scoperto la Pala Pesaro, altro straordinario, ma molto meno noto, capolavoro di Tiziano: è stato un colpo di fulmine, amore a prima vista (Fig. 1).
Si tratta di un dipinto a olio su tela, di imponenti dimensioni, quasi 5 metri di altezza per 2 e mezzo di larghezza. Risale ai primi anni ’20 del 1500, quindi posteriore all’Assunta che è stata eseguita nel 1518, e da essa si distingue, a mio parere per le suggestioni sensoriali che evoca, molto diverse. L’Assunta è fuoco, una fiammata di passione e di fede, uno slancio esplosivo verso l’alto. La Madonna Pesaro è un soffio di vento fresco, un sorso di acqua che ristora, con la prevalenza di quei toni freddi, il grigio della pietra, l’azzurro delle vesti e del cielo.
Ma la prima cosa che mi è entrata negli occhi, appena l’ho vista, è la struttura asimmetrica con la vergine spostata di lato.
Un gioco di prestigio, non eccezionale in Tiziano, ma sensazionale a quei tempi, in cui l’iconografia tradizionale delle grandi pale d’altare, da Giovanni Bellini a Antonello da Messina, proponeva la classica struttura piramidale, con la vergine al centro, lungo l’asse mediale della composizione e su un piano più alto di qualsiasi altra cosa o persona intorno.
Tiziano riceve la commissione nel 1519 da un vescovo cipriota, Jacopo Pesaro, di una prestigiosa famiglia veneziana. I Pesaro conoscevano bene il pittore cadorino, il quale, poco più che ventenne, aveva per loro realizzato un altro piccolo quadro, un altro sorprendente capolavoro oggi conservato ad Anversa, sempre per celebrare le gesta in battaglia di Jacopo, che aveva riportato importanti successi militari contro i turchi.
Questo quadretto dei primi del ‘500 è il fratellino minore della Pala Pesaro dei Frari, non solo per il soggetto e gli intenti celebrativi, ma anche perché in esso si leggono già, in anticipo di qualche anno, le qualità di un pittore che sarebbe ben presto diventato uno dei più grandi della storia. Qualità ancora un po’acerbe, però. C’è già il genio registico, la creatività nella composizione, anche qui asimmetrica, a stupire, a sorprendere e innovare, senza pregiudizi. La gestione del colore per emozionare è fenomenale, la qualità nella stesura e nella resa cromatica, lucida, viva, emozionante, è un piccolo assaggio del grande Tiziano. Nelle figure ancora si vedono tracce di ammirazione per grandi Maestri e abitudini del recente passato, come Bellini e quindi si capisce che l’estro del giovane pittore ancora non è del tutto autonomo.
Una piccola delizia per gli occhi, comunque, che indusse i Pesaro a cercare di nuovo Tiziano anni dopo, ancora per una rappresentazione apologetica delle prodezze guerresche di Jacopo.
Stavolta, il genio è più maturo. Ha già fatto vedere di cosa sia capace, lasciando il mondo a bocca aperta, con l’Assunta. Adesso si può togliere qualche soddisfazione in più, dipingendo liberamente, senza particolari ansie di dover dimostrare qualcosa. Il mondo della committenza veneziana è già aio suoi piedi.
E questa sicurezza si vede. Il pennello scorre veloce e libero, attinge alla tavolozza della sua fantasia, scegliendo e abbinando colori squillanti, compone e dispone figure come la sua prodigiosa immaginazione gli suggerisce.
Sulla destra, lo stendardo rosso, uno dei suoi colori favoriti, con le insegne di casa Borgia e dei Pesaro. Fa da inaudito contrappeso scenico alla vergine, arrivando addirittura più in alto del capo stesso di Maria.
Tiziano gioca con noi, come il gatto con il topo. Sa che l’occhio umano tutto accoglie, tutto assorbe, ma non altrettanto sa fare la corteccia cerebrale con le immagini trasmesse dalla retina. Non tutto ciò che si vede si comprende subito, si decodifica, si sa leggere, ma tutto può emozionare, anche le cose più strane, anche le cose mai viste. E se emoziona senza che si capisca, lascia dentro un senso di stranezza, di mistero, che intriga, avvince, ipnotizza.
E infatti, non si riesce a distogliere lo sguardo da queste immagini.
Due enormi colonne nulla sorreggono se non il cielo, incorniciato dalla pietra grigia ma non chiuso da un tetto. Che significa? Forse, sono i pilastri della fede, la chiesa di Roma, Pietro, e la misericordia della Vergine, su cui le colonne poggiano. Due pilastri che sostengono la volta del cielo. Lo scorcio illusionistico apre, dalla parete delle navata, una breccia sul mondo, ma non è una vera finestra, è un varco incompiuto, non pienamente delimitato. È un oblò sull’infinito, che ti risucchia fuori.
Ma la stupefacente macchia di colore delle vesti di Pietro, al centro della composizione… un contrasto vivace, l’oro e il blu… ci riportano dentro.
Ai piedi della piramide, due gruppi umani compositi. A sinistra, naturalmente lui, il grande Jacopo, che precede uno dei suoi armigeri che porta le insegne; più indietro, uno degli infedeli sconfitti. A destra, la famiglia la gran completo. Ci sono tutti i fratelli Pesaro, compreso Leonardo, il più piccino, l’unica figura che interagisce con noi, al di fuori del mondo del quadro, con un’occhiata veloce, familiare, come un cenno di saluto. È il saluto di Tiziano, naturalmente.
È un insieme straordinario, surreale, armonico nella sua inconcepibile originalità, che è tra le cose più belle che abbia mai visto: da quella prima volta, non ho più smesso di pensarci.
Forse allora vale la pena ricordarsi che un incontro del genere può sempre accadere, che ogni passo del sentiero della vita può regalare una svolta imprevista.
Ricordarsi di non disperare nei momenti più bui, quando siamo sfiniti e la meta sembra lontana o addirittura perduta.
In una cappella laterale, dal buio, all’improvviso, può emergere un quadro che non ti aspetti, che non cercavi, ma che alla fine si rivela come il vero capolavoro della tua vita.
