Un petalo portato dal vento

Raffaello Sanzio, 1483-1520

Madonna Esterhazy, Museo di Belle Arti, Budapest

Il 1508 è stato un anno importante per la storia della Bellezza. A Firenze, un ragazzo di 25 anni, Raffaello Sanzio da Urbino, dava prova di un talento fino a quel momento mai apparso sulla terra: la capacità di rappresentare in pittura, disciplina nella quale eccelleva sopra ogni altro, l’Armonia e l’Equilibrio tra figure umane in relazione spaziale, tra queste figure e l’Universo, tra il loro mondo interiore e la loro forma fisica. Fin da giovanissimo aveva seguito questa ispirazione innata, che però nel capoluogo toscano si era raffinata, grazie alla sua prodigiosa capacità di assorbire il magistero di due fenomenali colleghi più anziani: Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti.

Si può schematicamente affermare che la lezione dei due grandi maestri, e in particolare il talento introspettivo di Leonardo e quello plastico di Michelangelo, trovarono una sintesi perfetta in Raffaello? Non saprei.

Le semplificazioni hanno sempre forti limiti e sono per lo più esigenze dell’uomo comune che ha necessità di capire e sistemare una dimensione che lo sbigottisce.

Di sicuro in Raffaello c’è ampia traccia di entrambi, come se le parti migliori delle rispettive intuizioni fossero state colte, assorbite e perfezionate.

Nell’opera del giovane urbinate, dopo circa 4 anni di soggiorno in quel luogo magico che era la Firenze del primo ‘500, cominciavano ad armonizzarsi splendidamente le voci dei due maestri: forza, plasticità, ritmo, presenza nello spazio, austerità e classicità dei volumi, tipiche del Buonarroti; enigmaticità delle espressioni, carisma, profondità, introspezione dei ritratti di Leonardo. Non si trattava però di composizioni chimeriche tra due ispirazioni diverse che tali rimanevano nella percezione dell’osservatore. Raffaello stava trovando una ricetta perfetta, raffinatissima e assolutamente personalizzata, in cui l’esito superava di gran lunga cotante immense premesse.

In quegli anni, cioè, stava avvenendo un ‘rilancio’ straordinario sul tavolo da gioco della Storia dell’Arte e nasceva una nuova forma di rappresentazione della Bellezza ideale, la cui potenza espressiva non è mai più stata eguagliata.

Raffaello era reduce dalla grande prova della Pala Baglioni (1507), destinata a una cappella nella chiesa perugina di San Francesco al Prato, che aveva definitivamente consacrato il suo genio agli occhi del mondo.

In questo quadro molto grande, una tavola di circa 180 per 170 centimetri (Fig. 1), aveva saputo rappresentare un dramma, il trasporto del Cristo morto, come un inno alla vita, facendo del movimento il vero protagonista dell’opera. Movimento dei molti personaggi presenti, in un ritmo coordinato e plastico; movimento dell’ambiente e della scena naturale, in cui si percepisce il passaggio lieve di una brezza rivitalizzatrice; movimento degli accostamenti cromatici, accordati in un rapporto dinamico, circolare, come in un fuoco d’artificio contro il cielo notturno, che stampa sulla retina una miriade centrifuga di puntini colorati.

La stessa scelta del tema da rappresentare, un Trasporto e non una Deposizione, rimanda esplicitamente al movimento. È chiaro che si tratta di una prodigiosa intuizione per esorcizzare la disperazione della morte e celebrare la bellezza della vita, essendo l’urbinate chiamato ad ossequiare, con la pala commissionata da Atalanta Baglioni, la scomparsa terribile e violenta del giovanissimo figlio Grifonetto.

Il meraviglioso talento coreografico di Raffaello si espresse, però, nella produzione non solo di grandi pale d’altare come questa, ma anche e soprattutto di moltissime immagini destinate alla devozione privata, tavole di ‘Madonna con bambino’ di dimensioni medie e piccole, che i più facoltosi mecenati della cristianità gli commissionarono per tutta la carriera e che si possono considerare il suo straordinario ‘marchio di fabbrica’.

Le opere del 1508, in particolare, sembrano le più perfette. Appartengono a questo anno di grazia capolavori assoluti come la Madonna Tempi, la Madonna Colonna, la Madonna del Baldacchino e la più bella di tutte, la Grande Madonna Cowper, che sta alla National Gallery di Boston (Fig. 2).

Sono tutti quadri piccoli, interamente riempiti dallo spettacolo meraviglioso di una madre amorevole che ha in braccio suo figlio. È un soggetto ovviamente comunissimo nella pittura sacra di tutti i tempi e di tutte le scuole, ma con Raffaello raggiunge, in questo periodo, una perfezione che nessuno mai più avvicinerà.

Sembra che il giovane pittore, presagendo quella svolta formidabile della carriera che lo avrebbe destinato ai massimi incarichi nella città papale, abbia infuso in questa produzione seriale di deliziose piccole opere da camera, tutta la grazia e la sensibilità che colmavano il vaso della sua ispirazione.

Il tema di questi quadretti è l’amore, un amore infinito, tenero, dolcissimo. Le madonne hanno sguardi morbidi, carezzevoli, i bimbi si lasciano abbracciare con naturalezza, rispondono con la gestualità semplice e spontanea dei lattanti: le manine infilate nella scollatura della madre o a toccarsi i piedini, le labbra schiuse come per attendere il seno e quasi sempre atteggiate a un delicato sorriso.

Le madri guardano i figli e i figli entrano in rapporto, anche fugace, con chi osserva la scena attraverso sguardi invitanti, accoglienti, in una triangolazione che avvolge come una coperta.

È letteralmente impossibile non sentirsi coinvolti nel gioco delle relazioni emotive, non avvertire il richiamo del quadro al bimbo interiore che vive in ognuno di noi. In nessun caso si percepisce l’eco di una tragedia incombente, di una morte segnata e tragica. È presente solo la luce della dolcezza e dell’amore universale, che lenisce ogni angoscia e mantiene ogni promessa di salvazione.

Nel 1508 la capacità umana di rappresentare in pittura la bellezza dell’amore di una madre per suo figlio ha toccato il suo vertice assoluto. Raffaello probabilmente sentiva avvicinarsi un cambiamento importante, la sua anima stentava a contenere l’immenso talento in espansione e la mente vulcanica già intravedeva nuove sfide. Il tempo di muoversi verso Roma, rispondendo alla chiamata di Giulio II, era giunto. Un vento da nord lo spingeva verso la meta finale, dove mirabolanti imprese e una morte prematura lo attendevano; dove, nei cantieri dei palazzi vaticani, avrebbe lasciato ai posteri il testamento artistico che lo avrebbe reso immortale.

Prima della partenza definitiva da Firenze, però, l’ultimo slancio formidabile dell’ispirazione dolcissima del 1508, fu riservato dal Maestro a una minuscola tavoletta di betulla, di 20 per 30 centimetri, sottilissima, leggermente ricurva (Fig. 3). Un petalo leggero di legno chiaro, su cui Raffaello iniziò a tracciare le forme delicate di una bellissima Maria, inginocchiata in un angolo di campagna fiorentina, tra il suo bimbo e un San Giovannino. La Madonna sostiene Gesù, seduto su un roccione, mentre tenta di impadronirsi del misterioso cartiglio con cui il cuginetto si sta baloccando. È una scena di perfezione inaudita. Il centro del quadretto è occupato dal rosso formidabile della veste della vergine, intorno al quale vortica il blu del mantello e del panno su cui siede Gesù. Ancora movimento, gentile, delicato, armonico: una mano sul pancino di un bimbo agitato, il capo della madre reclinato verso sinistra, lo sguardo che segue l’attività febbrile del piccolo Giovanni e controlla le smanie del figlio. E il mondo, tutto intorno, si scioglie in tinte pastello: in alto, la striscia cobalto del cielo; in basso, la gamma di verdi della campagna toscana. Oggi, questa delizia, è chiamata Madonna Esterhazy, dal nome dei principi ungheresi che la possedettero per ultimi, prima che finisse nelle collezioni d’Arte del Museo di Budapest, dove è esposta tuttora.

Un dettaglio, sulla sinistra, all’orizzonte, i resti del Foro di Nerva fedelmente riprodotti, dimostra che il prezioso quadretto seguì Raffaello nel suo ultimo viaggio, verso Roma. Con lui rimase, tra i suoi personalissimi effetti, fino alla morte.

Il venticello leggero che accarezzava la pala Baglioni nel 1507, percorse il mondo dell’arte portando il profumo di una nuova stupenda stagione di rinascita; raccolse in volo i semi piumati di tanti piccoli quadri perfetti e ne condusse uno fino a Roma, al seguito del suo sublime creatore.

Figura 1. Raffaello Sanzio, Trasporto del Cristo morto (Pala Baglioni), Galleria Borghese, Roma.
Figura 2. Raffaello Sanzio, Grande Madonna Cowper. National Gallery of art, Washington.
Figura 3. Raffaello Sanzio, Madonna Esterhazy, Museo di Belle Arti, Budapest.